- UT PICTURA CAELUM
- ...Che cosa si può cercare nel cielo? Dopo il cristianesimo, niente. Ma prima, la ricerca poteva essere fruttuosa; si sapeva che gli dei vivono negli intermundia, e anche se nulla gli cale delle cose umane, c'era sempre la speranza di un incontro, mentale fisico apocalittico che fosse.
Adesso il cielo illude meno: chi lo guarda più? Pochi, le persone intelligenti, quelle che non hanno niente da nascondere. Gli altri si perdono in mille vicoli mentali, scavano soltanto la terra, perdono tutte le azzurrità, e però in fondo vorrebbero anch'essi fare una colazione sul campo libero con gli angeli.
Il cielo non commercia, non promette alcunché, meglio dunque, per codesti molti che non lo guardano, affaticarsi nella terra, sapere di terra, assomigliare più ai tartufi che a piante celesti e angeli recisi.
Gaetano Siniscalchi non solo guarda il cielo e lo inventa, sempre nuovo e fortemente colorato (quasi a suggerirne una natura di oggetto) ma lo ferma, o lo libera, ossessivamente sulla tela, e lo fa con l'attenzione e la raffinatezza del cielografo... (giugno 1992)
MARCO AMENDOLARA
FILIBERTO MENNA
- ...A veder lavorare Siniscalchi si ha difatti la sensazione che le mani operino per proprio conto, in realtà esse entrano a far parte di una sorta di circuito che si stabilisce tra il foglio, le mani e gli occhi dell'artista.
L'operazione ha nondimeno qualcosa di onirico, per cui si comprende che lo stesso autore rimanga "attonito", sorpreso da ciò che per il tramite delle sue mani affiora alla superficie chi sa da quali profondità. In questo Siniscalchi si affida a tecniche automatiche di espressione largamente debitrici dell'automatismo teorizzato e praticato dai surrealisti.
Ma non si tratta di una ripresa nel senso di un revival quanto di una riscoperta spontanea di un qualcosa che la cultura delle avanguardie ha sviluppato nel suo seno e ha poi disseminato da tutte le parti... (nov. 1984)
L'ARIA DIPINGE I SUOI COLORI
NICOLA SCONTRINO
- ...Siniscalchi pone le sue scelte, le sue idee, le sue riflessioni all'interno stesso dell'opera, come se il suo colloquio sia rivolto in uno specchio, in cui il riflettente diventa la stessa immagine del riflesso; sembra così quasi il processo inverso di Narciso. Forse su queste basi dialettiche si pone pertanto la ricerca pittorica di Siniscalchi, o forse sulla marginalità che l'artista viene ad assumere rispetto alla propria opera nel momento in cui egli affida il proprio messaggio, o meglio le proprie riflessioni.
Particelle, nuclei, frammenti; il tutto è ricomposto come una poesia, in cui la sequenza della parola svolge il contenuto, ma che alla fine, non conclude ed anzi riapre il discorso in un altro contesto. Così l'opera diventa attesa e forse anche assenza; ma, come sempre, dietro esiste, ed è presente, l'artista con i suoi arcani concetti e le sue strutture operative.
In verità, forse in questo eterno dilemma consiste la vera realtà della pittura e di quello che si cela dietro il contesto dei colori, come se dal nulla si vengono a formare le opere o la struttura delle idee. Ecco come l'aria dipinge i suoi colori. (dicembre 1984)
PER I CIELI DI GAETANO SINISCALCHI
RINO MELE
- ...Ecco, per un attimo, il cielo (azzurro, grigio, rossastro, rosa e cilestre a squame, bianco, nero, rosa, rosato) è scomparso. Ce ne siamo liberati per riprendere fiato. Ma il foglio si ridisegna da se: qui una nuvola, più in là un nuvolone come un cappello infarinato, e poi, al centro, l'azzurro che diventa così tenue, così trasparente per la troppa luce, da farti venir voglia di cancellare tutto, piano piano, con una grossa gomma-pane.
Sul foglio si è disegnata anche una fontanella, disegnata male (ma bagna le dita ugualmente). Di fronte la fontana una chiesuola sbrecciata, rosa e bianco. E' Sant'Apollonia. Dentro c'è un pittore che ha preparato una mostra di "cieli". Cieli religiosi che attendono, incurvati dal dolore, di avvolgersi intorno ad un santo dalle poche palmette raccolte nella mano sinistra, mentre la destra poggia su una spada o su un bastone fiorito, o regge un messale. I cieli di Sant'Apollonia sono numerati, come scomparti devozionali. Ogni tanto uno di essi si apre e appare una riccioluta testa ridente, squittente, che sbatte frettolosamente le piccole ali e scompare. Perché il pittore vuole mostrare i suoi sogni rannuvolati, imbronciati, o improvvisamente chiari? E a chi vuole mostrarli? Forse sono una forma di scambio della sua economia affettiva: fanno parte del suo linguaggio (faticosamente cercato), sono come parole. Intanto nell'unica navata, scavata dall'unghia di un cherubino, sono o quadri, cieli o fondali, il pittore li ha sigillati e chiusi lì. La piccola chiesa ubbidisce alla metafora che custodisce: si dilata, smotta, lievita, divenuta leggera. Ali di angeli affiorano appena dai cieli dipinti e la portano in alto. Vestita di rosso e oro, i piedi su una nuvola fresca per lenire il bruciore del rogo (il fuoco è giallo e arancio), Apollonia diventa una costellazione. Quando sarà sera la cercheremo in alto, in corrispondenza della mostra dei cieli del lontano dicembre 1987. (novembre 1987)
GAETANO SINISCALCHI ED IL "NUVOLOSO CELESTE"
GIUSEPPE SIANO
- ...Nembi come macchie di uno spento luminismo si addensano quasi pacatamente minacciosi e si lasciano tranquillamente riprendere in questo "svuotato" transitare nei suoi quadri ….
La ripetizione di questi cieli, in Gaetano, ha comunque un tema comune, ovvero il riverberare alcune situazioni di prospettiva ed emozionali circostanziabili al manierismo veneto per la quasi totalità: quelli diurni (i cieli) passano da un lontano riecheggiare alcune sensazioni effettuali dell'intellettualismo di fondo del Veronese a quello più sacrale del Tintoretto; mentre quelli del vespero si avvicinano al baluginare di toni di fondo e dell'atmosfera, più raggelata ed intensa, del misticismo di El Greco. Ma in essi tutto è così trasformato che lascia il lettore tra un'infinità di riporti, sia nella figuratività che nei passaggi immaginifici, fino a chiarire, forse, quella voluta mistificazione degli stessi... (dicembre 1987)
IL CIELO ERA UNA COPERTA DI SETA
MARIO CAROTENUTO
- ...Gaetano Siniscalchi poggia alla parete, sulla panca illuminata da destra, in un pomeriggio di ottobre, le sue tele dipinte. C'è silenzio ed attesa.
Volta a volta la parete si apre su grande spazi scuri, spesso troppo grandi per la piccola stanza. Guardo con interesse e sorpresa. All'inizio mi sembrano solo tele monocrome dal blu al nero, poi assuefacendosi pian piano la vista, appaiono i cieli e tutte le articolazioni che quel nero-blu contiene e rimanda. Sono per lo più cieli notturni o del tramonto ultimo pronto a diventare notte, dopo che un invisibile uragano ne ha scomposto il sereno stupore. C'è del nero, del rosso a macchie piccole, del bianco, nell'azzurro che avvolge e incorpora tutto. E' un cielo racconto quello di Gaetano; un cielo che narra dolori, esaltazioni, impossibilità e paura del vuoto.
Le nuvole, sempre presenti, sono satelliti su cui aggrapparsi per non cadere nel nulla al di là della cornice. La serenità è lontana e lontano il fantasticare che nelle nuvole vedeva figure ed animali, corse di cavalli, e lotte di guerrieri.
Poco al di sopra della linea terrestre, questo cielo conserva i frammenti di un rogo consumato, di una esplosione avvenuta e le scintille vagano nello spazio a comporre la trama della tela.
Dove sono la luna e le stelle dei nostri sogni infantili?
Uno smog copre qualche volta un bellissimo azzurro e la luna, piccola ostia sconsacrata, fatica a mostrarsi... (ottobre 1988)
INVITATION AU VOYAGE
SILVANA SINISI
- Immagini di cieli avventurosi, percorsi da densi strati di nuvole, costituiscono il tema conduttore degli ultimi lavori di Gaetano Siniscalchi.
Una vera e propria ricerca sul motivo, coltivata con dedizione esclusiva e appassionata, dove l'investigazione sul linguaggio del colore appare costantemente sorretta da una robusta tensione visionaria. Plumbei e temporaleschi oppure serenamente luminosi, i cieli di Siniscalchi sono sempre popolati di nuvole, queste ambigue presenze, effimere e inafferrabili che si prestano a impersonare le mille figure del desiderio, i fantasmi leggeri e instabili di un divagante sogno ad occhi aperti. Elemento mobile e in continua metamorfosi, la nuvola sfugge alla severità del linearismo geometrico per assumere contorni molli, carezzevoli, arrotondati, assecondando un processo di sprofondamento onirico, quasi una forma di regressione primaria e restituirci un universo soffice, cedevole, privo di asprezze e di resistenze. Disancorata dalle costrizioni terrestri, vincolate a una tangibilità fisicamente concreta, la nuvola sembra attivare nel dinamismo immaginario non solo le funzioni visuali, ma una sorta di volontà tattile, un'esigenza profonda di modellare la sostanza gassosa, di plasmarla e renderla conforme ai dettami del desiderio.
Un aspetto, questo, fortemente avvertito da Siniscalchi che tende ad eliminare dai suoi dipinti sia la linea di orizzonte che ogni riferimento al contatto stabile e rassicurante del suolo per creare una grande epifania celeste a carattere ascenzionale, dove, tra squarci di azzurro, cirri cumoliformi sono assunti nella loro condizione di nuclei germinativi, carichi di potenzialità molteplici...(lug. 1989)
PER NON AVERE IL CIELO
RUBINA GIORGI
- ...Se il cielo sono io stesso uomo, la vicenda allora si complica.
Bisogna prestare attenzione all'idea di mutamento e metamorfosi.
Perché sposto me stesso al cielo? Bisogno di un'altra terra? Bisogno di perdermi in più spazio? Di tornare agli elementi primordiali comuni a tutti gli esseri? E poi: mi sopporto meglio se mi minaccio, se mi distruggo, e nel distruggermi se trasferisco la mia azione distruttiva ad una entità estranea ( il cielo appunto )? Se è vero che aspiro a cancellarmi, è pur vero che, cancellandomi come cielo e potenza, compio il gesto per trasferirmi al grandioso, così mi rendo inattingibile, indistruttibile, eterno - eternamente mobile. Potrei star dunque cercando la mia origine, il riposo nell'inizialità dei miei elementi stellari.
Se è così, giusto è che non compaia figura animale od umana nelle tele di G. Siniscalchi. Tradimento o indebolimento dovrebbe esserci quando vi compare. Vi sarebbe poi anche l'ipotesi (ma la lasciamo nell'indefinito) che il transfert celeste - che di celeste non si colora - sia una via d'amore universale e più che umana.
Ma cose c'è dietro al cielo? Se perfino il cielo mi assomiglia, debbo cercare oltre il cielo finalmente il dissomigliante. Un'altra ipotesi sarebbe che il pittore cerchi di proiettare il suo desiderio dietro il cielo per renderlo inattaccabile dall'umano. Un'antica ansia di assoluto di perfezione, di felicità? Può darsi. La perfezione, che non c'è nell'uomo, è tuttavia umana: allora aspiro ad un più - che - perfetto muovendo esattamente dal mio meno - che - perfetto desiderio d'identificarmi col cielo.
Non cerco così (o non cerco soltanto) il coronamento della mia ambizione di pittore di cieli, bensì il coronamento (che anche da me esuli - me esule) di un'ambizione a me incognita. Ecco la fonte estrema, scoperta, dell'indecisione essenziale che sembra aver mosso tutto - credo.
Non so cosa farne del molto, non so come fare a avere (ad essere) molto di più del molto. (novembre 1989)
NOTE D'ARTE: GAETANO SINISCALCHI
MARCO AMENDOLARA
- ...L'inganno, in altri termini, sarebbe quello che sempre sorge davanti alle novità: pensare a qualcosa di artistico così arbitrario quanto personale. E invece quelle opere erano un richiamo ai leggeri e penetranti lavori di certo surrealismo. Una poetica della leggerezza che Siniscalchi ha continuato, con la serie tuttora in atto, e monotematica, dei "cieli" (Chiesa di Sant'Apollonia 1987, con presentazione di Rino Mele).
Essendo unico soggetto di ritratti, il cielo diviene per Siniscalchi quel tutto d'imprescindibile e di inavvicinabile, pena la fine dell'umano, se l'uomo non sa avvicinarlo indirettamente, dipingendolo, cercando di coglierne le indefinite e mutevoli atmosfere. Giustamente Mario Carotenuto ha scritto che il cielo dipinto da Siniscalchi "è un cielo racconto (…) un cielo che narra dolori, esaltazioni, impossibilità e paura del vuoto" (1988 ).
Cieli forse avvelenati, o anche accesi di furie malcelate e ardentissime, quelli presentati da Gaetano Siniscalchi alla galleria Fòvea, proprio in questi giorni, con scritti critici di Rubina Giorgi e Silvana Sinisi.
Sezionato in pannelli, guardato da una finestra oblunga, esploso da scoppi luciferi e rossastri, incupito di arcane macchie, impreziosito di blu e nero - il cielo è per Siniscalchi non soltanto un argomento umano (malgrado, e anzi proprio per la sua lontananza) ma è forse l'unica cosa che valga la pena di raccontare in pittura, l'unica prova di angoscia e libertà effettive dell'uomo.
Non è un caso, mi pare, che nei soggetti celesti di Gaetano Siniscalchi ci sia un richiamo, di volta in volta più o meno volontario, a ognuno dei quattro elementi, talora mescolati, a significare la ricchezza e la terrestrità del tema.(marzo 1990)
L'INVENZIONE DEL CIELO
PAOLO APOLITO
- ...La costruzione del cielo, la sua produzione simbolica, va di pari passo con la sua identificazione di luogo della divinità. Nel cattolicesimo popolare diviene addirittura il luogo dell'aldilà, dell'altra vita, la negazione trascendente della vita terrena. Anche nella visione laica della vita, nella cultura occidentale, il cielo rimane un luogo numinoso, in cui funzionano proiettivamente meccanismi psichici e simbolici.
Gaetano Siniscalchi conduce il cielo infinito nello spazio definito del quadro. Ne risulta un "estraniamento" tanto più ardito quanto più si fissa il quadro: la consueta differenza tra superficie dura dei corpi solidi e profondità morbida di quelli aerei ne viene compromessa; la profondità interminabile dello sguardo nel cielo è minacciata, in un altro luogo della mente, dalla nozione di superficie finita del quadro; inoltre la vastità dell'immaginario celeste, attivato dalla vista, è scosso dalla percezione fisica del limite del quadro. Profondità ed estensione colti sul metro quadro del dipinto conchiuso. E non si tratta di percezioni che si producono l'una distinta dall'altra; sono entrambe co-presenti e di qui l'estraniamento, il disagio "direi" di una continua mancata illusione o al contrario di una costante perdita di superficie e confine, di uno sprofondamento...(1991)
LE LUNE AMBIGUE DI GAETANO SINISCALCHI
RUBINA GIORGI
- ...Ultimamente la luna conquista desiderio e percezione del pittore, se ne fa tiranna: egli la cerca e la vede da per tutto, sopra o dentro coltri aeree gonfie di buio, o sul punto di fondere al calore di parossistiche aperture di colore, come in forno che provi e riprovi l'opus alchemico di una creatura senza modello ideale, un vago mostro di un sangue tra vegetale e artificiale ma composto in cambio di una materia di luna - la sostanza che infonde follia nei melanconici ma pure felicità nei sereni, e vigore di nascite nelle nuove semine. La sostanza di un'ambigua divinità, che somministra agli umani col suo apparire e disparire speranza e disperazione.
Ma a questo punto insorge il terrore dell'artefice:di nuovo il corpo celeste che lo ammalia gli da paura di soccombere.
Alla minaccia egli risponde fasciando di bende cupe i margini delle tele, come a contenere in qualche modo le potenze elementari, a frapporre barriere. Vi riesce? (gennaio 1992)
FEDERICO SANGUINETTI
- G etto paterno in tue paterne orme
A crostici celesti celestiali
E stasi estive distese barocche
T ra soffici colori di capelli
A ureo argenteo azzurri ancora amati
N on li vedi non senti li accarezzi
O rmai in orgasmo solo in paradiso
S ono soltanto settimane sogni
I n istantanee immobili inganni
N è nascondesi ninfa non natura
I diomatica incerta infine
S edicenti silenzi santi sanguinano
C ordialmente corrotti cangianti
A d arco acuto ahimé angelo assente
L ucane linee languide lambendo
C ome chiunque capisce chi ci capita
H a haggancio happenig hot hapax
I nventa incanti iperuranei ipnotico
IL RIO DELLE NUVOLE
FRANCESCO CALVANESE
- Nel cielo di un aereo Lisbona-Roma passano le nuvole di Siniscalchi
Sono la musica del fado del tango del jazz
Dei popoli del sud
Sono la rosa dei venti di Belem
Dei naviganti
Per le Americhe del sud.
Sono piene di vita e di sudori
Di piedi scalzi nella campagna e di grano fresco.
Sono le nuvole della vita
Romantiche e postmoderne
Universali e quotidiane.
Sono il piacere e la fatica
Di raccontare la nostra storia.
Sei tu Aurora mia madre
Che sento allontanarsi
Con le mani fragili e le ginocchia sfinite.
E quante nuvole tornano indietro
Di ricordi di tenerezze di dolori
Del senso d' incompiuto di non saper dire
Di non raccontare la mia passione.
Sono Manù e i miei bimbi
Tutte le Giovanne
I nostri capricci
Declinanti come su un fiume.
Sono il padre ferroviere
E i comunisti
Che ho amato
Pian della Tortilla
E il piano bar di San Telmo
Il dieci alla roulette
E lo champagne.
Nel cielo di un aereo Lisbona - Roma
Le nuvole si stingono
Camminano
Sono terse soffuse
Si fanno strada.
Nel mezzo appare
La barba bianca di Siniscalchi
Come una statua
Come Gardel
Tra le nebbie del film di Solanas
Nella luce del giorno
Come in paradiso
Come nel mare.
(1992)
SE LA LUNA CONTINUA A ISPIRARE OLTRE L'AMBIGUITÀ DEL CIELO
Alla Galleria "Metafora" di Nocera Inferiore il linguaggio dei colori di Gaetano Siniscalchi
STEFANO MASSA
- ...Il pittore, con uno spirito di ricerca coltivato nel corso di una carriera ricca di soddisfazioni e tributi da parte della critica specializzata, dedica la attenzione alla luna, che assume un ruolo centrale nella sua opera. (marzo 1992)
I CIELI ALL'AEROPORTO
MAURIZIO LANDI
- Ali di aria e di tela
Tra soffici flebili e cumuli
Sono onde e scogli
Approdi di lune e sete
Tratti corposi e morbidi
Ovatta
Scie di ombretto tra cielo e mare
Turbini
Sciami
Folgori / quadri
Eliche di aeroplani.
(luglio 1992) - I CIELI DI GAETANO SINISCALCHI ALL'AEROPORTO
MAURIZIO LANDI- ...Possedere il cielo è l'atto ultimo di coscienza e di disperazione. L'aria, fluido perfetto, nel sollevarci ci libera dai vincoli del piano, ci offre prospettive inaspettate, annulla tutti i criteri terrestri per affermare il volume, la densità, la mobilità.
ALLA RICERCA DEI CIELI- ...Non sempre, però, il cielo interiore… è idilliaco e celestiale…
" Gaetano Siniscalchi poggia alla parete ( … ) le sue tele dipinte (…).
All'inizio mi sembrano solo tele monocrome dal blu al nero, poi (…) appaiono i cieli e tutte le articolazioni che quel nero - blu contiene e rimanda. "(Mons. Don Mario Gigante). - Sono per lo più cieli notturni o del tramonto ultimo pronto a diventare notte, dopo che un invisibile uragano ne ha scomposto il sereno stupore
- Il cielo interiore è anche questo! Non è solo quello della Grazia, quello celeste, contemplativo, il " luogo " dell'io appagato, riconciliato …
E' solcato da fulmini, lampi, tuoni. E' più notturno che diurno. E' un cielo dilacerato. E' la vera nostra umanità, ch'è dissidio, ansia, trepidazione, perenne inquietudine, incolmabile tensione e anelito. - (Mario Carotenuto).
…Gaetano Siniscalchi di sé ha detto: " Dai sotterranei della memoria un qualcosa che non conosco prende forma. Attonito seguo le mie mani, che mi donano qualcosa che è mio, che mi appartiene e che io non conoscevo".( Filiberto Menna)